giovedì 31 gennaio 2013

Nell'insieme...un paradiso!!

« Aus dem paradies, das Cantor uns geschaffen, soll uns niemand vertreiben können »
(David Hlbert, Über das Unendliche. Mathematische Annalen, 1926, p. 170)
 
« Nessuno riuscirà a cacciarci dal Paradiso che Cantor ha creato per noi. »

giovedì 8 novembre 2012

A ciascuno la sua guerra

I


Sul cominciar del mio novello canto,
    Voi che tenete l’eliconie cime
    Prego, vergini Dee, concilio santo,
    Che ’l mio stil conduciate e le mie rime:
    Di topi e rane i casi acerbi e l’ire,
    Segno insolito a i carmi, io prendo a dire.


II

La cetra ho in man, le carte in grembo: or date
    Voi principio e voi fine a l’opra mia:
    Per virtù vostra a la più tarda etate
    Suoni, o Dive, il mio carme; e quanto fia
    Che in questi fogli a voi sacrati io scriva,
    In chiara fama eternamente viva.


III

I terrigeni eroi, vasti Giganti,
    Di que’ topi imitò la schiatta audace:
    Di dolor, di furor caldi, spumanti
    Vennero in campo: e se non è fallace
    La memoria e ’l romor ch’oggi ne resta,
    La cagion de la collera fu questa.

Omero, Batracomiomachia, tr.it G. Leopardi 

mercoledì 31 ottobre 2012

Confessione di un teppista - Sergej Esenin (tr. it. Massimo Rossi)

Non a tutti è dato cantare,
E non tutti possono cadere come una mela
Sui piedi degli altri.

Questa è la più grande confessione,
Che mai teppista possa rivelarvi.

Io porto a bella posta la testa spettinata,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace illuminare nelle tenebre
L’autunno spoglio delle vostre anime.
E mi piace quando una sassaiola di insulti
Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera,
Solo allora stringo più forte tra le mani
La bolla tremula dei miei capelli.

È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell’ontano,
Che da qualche parte vivono per me padre e madre,
Che se ne fregano di tutti i miei versi,
E che a loro sono caro come il campo e la carne,
Come la pioggia fina che rende morbido il grano verde
                                                                           [
a primavera.
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi
Per ogni vostro grido scagliato contro di me.

Miei poveri, poveri contadini!
Voi, di sicuro, siete diventati brutti,
E temete ancora Dio e le viscere delle paludi.
O, almeno se poteste comprendere,
Che vostro figlio in Russia
È il più grande tra i poeti!
Non vi si raggelava il cuore per lui,
Quando le gambe nude
Immergeva nelle pozzanghere autunnali?
Ora egli porta il cilindro
E calza scarpe di vernice.

Ma vive in lui ancora la bramosia
Del monello di campagna.
Ad ogni mucca sull’insegna di macelleria
Da lontano fa un inchino.
E incontrando i cocchieri in piazza,
ricorda l’odore del letame dei campi nativi,
Ed è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo,
come fosse uno strascico nuziale.

Amo la patria!
Amo molto la patria!
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso.
Adoro i grugni infangati dei maiali
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi.
Sono teneramente malato di ricordi infantili,
Sogno delle sere d’aprile la nebbia e l’umido.
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto
S’è accoccolato il nostro acero.
Ah, salendo sui suoi rami quante uova,
Dai nidi ho rubato alle cornacchie!
È lo stesso d’un tempo, con la verde cima?
È sempre forte la sua corteccia come prima?

E tu, mio amato,
Mio fedele cane pezzato?!
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante,
E non senti più a fiuto dove sono portone e stalla.
O come mi è cara quella birichinata,
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma,
e a turno la mordevamo senza disgusto alcuno.


Io sono sempre lo stesso.
Con lo stesso cuore.
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso.
Srotolando stuoie d’oro di versi,
Vorrei dirvi qualcosa di tenero.

Buona notte!
A voi tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba la falce dell’aurora…
Oggi avrei una gran voglia di pisciare
Dalla mia finestra sulla luna.

Una luce blu, una luce così blu!
In così tanto blu anche morire non dispiace.
Non m’importa, se ho l’aria d’un cinico
Che si è appeso una lanterna al sedere!
Mio buon vecchio e sfinito Pegaso,
M’occorre davvero il tuo trotto morbido?
Io sono venuto come un maestro severo,
A cantare e celebrare i topi.
Come un agosto, la mia testa,
Versa vino di capelli in tempesta.

Voglio essere una vela gialla
Verso il paese per cui navighiamo.

venerdì 12 ottobre 2012

La doppia natura dell'aritmetica

I compare arithmetic with a tree that unfolds upwards in a multitude of techniques and theorems while the root drives into the depths.

 Friedrich Ludwig Gottlob Frege
Grundgesetze der Arithmetik (1893)

lunedì 2 luglio 2012

« Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo. »

H.P. Lovecraft

martedì 12 giugno 2012

Capolavori

Secondo quanto finora scoperto, Stradivari, al fine di rinforzare la struttura del legno, usava una preparazione vitrea: un composto di potassa, salice e carbone. Dopo una lunga esposizione a questo composto, il legno diveniva quasi cristallizzato e ciò gli conferiva un eccellente resistenza al tempo. A questo punto la vernice non poteva essere applicata direttamente perché avrebbe reagito chimicamente col primo strato. Così Stradivari applicava un secondo strato: un isolante composto da albume, miele, zucchero e gomma arabica. Infine stendeva un sottile strato di vernice che non entrava in profondità nel legno del violino.

Semplici o complessi?

"ma il fatto è che le persone semplici non capiscono le persone complicate e con più spietatezza di chiunque altro le inducono a ritrarsi in se stesse, pensai. l'errore più grande che possiamo fare è credere che le cosiddette persone semplici siano in grado di salvarci. ci rivolgiamo a loro in uno stato di angoscia estrema, li imploriamo letteralmente di salvarci, e quelli invece ci spingono ancora più a fondo nella disperazione. e come potrebbero, pensai, salvare un individuo stravagante dalla sua stravaganza" Thomas Bernhard, Il soccombente