domenica 7 aprile 2019

Eroina

Come potrò dire
a mia madre
che ho paura?
La vita,
il domani,
il dopodomani
e le altre albe
mi troveranno
a tremare
mentre
nel mio cervello
l’ottovolante della critica
ha rotto i freni
e il personale
è ubriaco.
Ho paura,
tanta paura,
e non c’è nascondiglio possibile
o rifugio sicuro.
Ho licenziato
Iddio
e buttato via una donna.
La mia patria
è come la mia intelligenza:
esiste, ma non la conosco.
Ho voluto
il vuoto.
Ho fatto
il vuoto.
Sono solo
e ho freddo
e gli altri nudi
ridono forte
mentre io striscio
verso un fuoco che non mi scalda.
Guardo avvilito
questo deserto
di grattacieli
e attonito
vedo sfilare
milioni di esseri di vetro.
Come potrò 
dire a mia madre
che ho paura?
La vita,
il suo motivo,
e il cielo
e la terra
io non posso raggiungerli
e toccare…
Sono sospeso a un filo
che non esiste
e vivo la mia morte
come un anticipo terribile.
Mi è stato concesso
di non portare addosso
vermi
o lezzi o rosari.
Ho barattato
con una maledizione 
vecchia ma in buono stato.
Fu un errore.
Non desto nemmeno
più la pietà
di una vergine e non posso
godere il dolore
di chi mi amava.
Se urlo chi sono,
dalla mia gola
escono deformati e trasformati
i suoni che vengono sentiti
come comuni discorsi.
Se scrivo il mio terrore,
chi lo legge teme di rivelarsi e fugge
per ritornare dopo aver comprato
del coraggio.
Solo quando
scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
avrò un premio.
Sarò citato
di monito a coloro
che credono sia divertente
giocare a palla
col proprio cervello
riuscendo a lanciarlo
oltre la riga
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Come potrò dire a mia madre
che ho paura?
Insegnami, 
tu che mi ascolti,
un alfabeto diverso
                                                    da quello della mia vigliaccheria. 
Riccardo Mannerini

sabato 6 aprile 2019

Accendersi postumi come una parola

«Si oscura la vista.
La mia forza sono due occulti dardi  adamantini.
Si confonde l’udito per il tuono lontano della casa paterna che respira.
Dei duri muscoli i gangli si infiacchiscono,
come bovi canuti all’aratura e non più quando è notte.
Alle mie spalle splendono due ali.
Nella festa, candela mi sono consumato.
All’alba raccogliete la mia disciolta cera
e lì leggete chi piangere,
di cosa andar superbi,
come donando l’ultima porzione di letizia.
Morire in levità
e al riparo d’un tetto di fortuna.
Accendersi postumi
come una parola»

(A. Tarkovskij, Morire in levità)

domenica 25 novembre 2018

Rien Va!

“…E’ difficile credere seriamente che un caso (che è sempre e tuttavia un accadimento) sia casuale, o insomma credere seriamente al caso. Pel semplice fatto che una cosa accade non può essere casuale… Ma qualcuno ha inventato il caso e tutti i pensanti lo hanno accettato: anche coloro che mostrano di rifiutarlo quale ordinatore o disordinatore dell’universo lo ammettono poi implicitamente in ogni momento della loro giornata. Di vero non v’è se non che lo spirito giace eternamente in catene, poco importa da chi forgiate”
Tommaso Landolfi

domenica 18 novembre 2018

L’Heautontimorumenos

Je te frapperai sans colère
Et sans haine, comme un boucher,
Comme Moïse le rocher
Et je ferai de ta paupière,

Pour abreuver mon Saharah
Jaillir les eaux de la souffrance.
Mon désir gonflé d'espérance
Sur tes pleurs salés nagera

Comme un vaisseau qui prend le large,
Et dans mon coeur qu'ils soûleront
Tes chers sanglots retentiront
Comme un tambour qui bat la charge!

Ne suis-je pas un faux accord
Dans la divine symphonie,
Grâce à la vorace Ironie
Qui me secoue et qui me mord

Elle est dans ma voix, la criarde!
C'est tout mon sang ce poison noir!
Je suis le sinistre miroir
Où la mégère se regarde.

Je suis la plaie et le couteau!
Je suis le soufflet et la joue!
Je suis les membres et la roue,
Et la victime et le bourreau!

Je suis de mon coeur le vampire,
— Un de ces grands abandonnés
Au rire éternel condamnés
Et qui ne peuvent plus sourire!

Charles Baudelaire

Ti colpirò, senza odio e senza collera,
come un beccaio, come Mosè il sasso;
e perché possa al fine dissetare
il mio Sahara, le acque del dolore
zampillare farò dalla tua palpebra.
Rigonfio di speranza il desiderio
andrà sulle tue lacrime salate
come un vascello che si spinge al largo;
nel cuore inebriato dei tuoi singhiozzi,
che mi son cari, echeggeranno quasi
un tamburo che batte la sua carica.
Non sono forse un falso accordo nella
divina sinfonia, grazie all’edace
Ironia che mi scuote e mi morde?
Tutto il mio sangue, tutto, è questo nero
veleno; ed io non sono che lo specchio
in cui si guarda la strega.
Coltello e piaga, schiaffo e guancia, membra
e ruota sono, vittima e carnefice;
sono il vampiro del mio cuore, un grande
infelice, di quelli a un riso eterno
dannati, e che non possono più sorridere.

giovedì 8 novembre 2018

Uno stoicismo daoista

«Ducunt volentem fata, nolentem trahunt»
«Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante»

domenica 21 ottobre 2018

THERE IS A PLEASURE IN THE PATHLESS WOODS



There is a pleasure in the pathless woods,
There is a rapture on the lonely shore,
There is society, where none intrudes,
By the deep sea, and music in its roar:
I love not man the less, but Nature more,
From these our interviews, in which I steal
From all I may be, or have been before,
To mingle with the Universe, and feel
What I can ne’er express, yet cannot all conceal.
 
 
Vi è un piacere nei boschi inesplorati
e un’estasi nelle spiagge deserte,
vi è una compagnia che nessuno può turbare
presso il mare profondo,
e una musica nel suo ruggito;
non amo meno l’uomo ma di più la natura
dopo questi colloqui dove fuggo
da quel che sono o prima sono stato
per confondermi con l’universo e lì sentire
ciò che mai posso esprimere
nè del tutto celare.
 
George Gordon Byron

mercoledì 17 ottobre 2018

Il diavolo dileggia la speculazione


Ein überirdisches Vergnügen!
In Nacht und Tau auf den Gebirgen liegen,
Und Erd und Himmel wonniglich umfassen.
Zuu einer Gottheit sich aufschwellen lassen,
Der Erde Mark mit Ahnungsdrang durchwühlen,
All sechs Tagewerk im Busen fühlen,
In stolzer Kraft ich weiß nicht was genießen,
Bald liebewonniglich in alles überfließen,
Verschwunden ganz der Erdensohn,
Und dann die hohe Intuition –
Ich darf nicht sagen,wie – zu schließen! 

Un piacere ultraterreno!
Di notte stare sdraiato sulla rugiada, sui monti, 
ed abbracciare, con voluttà, e terra e cielo,
gonfiarsi sino a ritenersi un dio,
frugare, con impeto di presagi, entro il midollo della terra,
sentire, nel proprio petto, l'opera dei sei giorni della creazione, 
godere, pieno di forza orgogliosa, non so che cosa,
fondersi nel Tutto con voluttà dopo aver deposta ogni spoglia terrestre e,
poi, conchiudere l'alta intuizione...
non mi è lecito dir come!

J. W. Goethe, Faust